lunedì 23 dicembre 2013

Recensione film: Lo hobbit, la desolazione di Smaug



Giusto pochi giorni fa ho potuto vedere al cinema la seconda parte della trilogia de Lo hobbit, questa volta in 3D e devo dire che anche stavolta non sono rimasta delusa.


Devo spezzare una lancia a favore del 3D a questo giro, solitamente non amo guardare i film in 3D perché lo trovo inutile e fastidioso per gli occhi, ma stavolta per questioni di orario mi è toccato vederlo in questo formato e stranamente non mi è dispiaciuto affatto. Peccato però che dopo un po’ ci si abitui e la differenza non si nota più. Peccato perché stavolta il 3D ci stava di brutto, credo sia il primo film che vedo in 3D che mi abbia davvero dato l’idea della tridimensionalità, soprattutto l’impatto iniziale. E no, Avatar non conta perché a me Avatar non è piaciuto, ma questa è un’altra storia.

Questo secondo episodio soffre del fatto di essere il film di mezzo in una trilogia, e perciò appare “monco” da una parte e dall’altra. Ciononostante a me è piaciuto e non vedo l’ora di vedere cosa Peter Jackson avrà combinato per il gran finale.

Le musiche che accompagnano il film sono meno epiche e più seriose, in quanto l’atmosfera generale è più malinconica, anche se le gag con i nani non mancano. Durante il viaggio dei nostri tredici nani e un hobbit abbiamo sempre la solita girandola di azione, tra foreste piene di ragni, orchi a volontà e ambigui elfi che vogliono solo proteggere la loro patria.
Sottotrama aggiunta per il film, Gandalf che, lasciato momentaneamente il gruppo, indaga sul ritorno del Negromante e scopre che sta ammassando eserciti su eserciti. Sottotrama che getta le basi per quello che avverrà in seguito nella trilogia del Signore degli Anelli e di cui sappiamo già i risvolti. Secondo me si poteva farne a meno, perché questo è il film sulla storia di come i nani riconquistarono Erebor e Sauron non c’entra una cippa.

Nel corso del film i nani incontreranno alcune vecchie conoscenze e qualche personaggio nuovo che nel libro non c’era proprio.
Beorn, l’omaccione che si trasforma in orso ha troppo poco spazio secondo me, io gli avrei dato qualche scena in più. Non mi piace particolarmente il makeup in versione uomo, ma l’orso era decisamente feroce.
Gli elfi sono come al solito belli e immortali, ma in questo film sono davvero cattivi e spietati. Li preferisco così che in versione femminucce infiocchettate. L’elfa Tauriel è un personaggio totalmente inventato e serve a poco e niente all’economia del film, poi diciamolo il suo mezzo flirt con un giovane nano, per fortuna poco enfatizzato, era da evitare come la peste.

 Gli elfi in tutto il loro photoshoppato splendore!

Bard piacerà un sacco alle ragazzine con quel suo fascino che ricorda Johnny Depp in Chocolat. Si capisce già cosa farà nel prossimo film e come, per chi ha letto il libro è ovvio, ma anche chi non l’ha letto ha già capito tutto. Me lo aspettavo diverso, ecco tutto.
 
 Bard, con il suo cappotto di montone

Gli orchi sono veramente brutterrimi, il che significa che sono davvero realizzati bene. Azog è sempre figo, anche se nel libro non c’era.
Che altro dire? Bellissimi i costumi degli abitanti di Pontelagolungo e degli elfi di Bosco Atro, come sempre una cura maniacale nei dettagli, tanto di cappello.

E Smaug? Che dire del terribile Smaug? Temevo un po’ per il doppiaggio, ma a me la voce di Luca Ward è parsa molto adatta, però non ho sentito quella originale di Cumberbach . E devo dire che la scelta di fare di Smaug una grossa viverna a due zampe piuttosto che un drago a quattro zampe non è così terribile.
Nota negativa, il film finisce un po’ così. Un po’ “meh, proprio adesso?”. Ma c’era da aspettarselo visto che la conclusione e quindi il grosso del finale sarà nel terzo capitolo. Quindi aspettiamoci sconfitta di Smaug e battaglia dei cinque eserciti. Roba che faranno un film di tre ore e mezza come minimo!

Complessivamente è una visione più che piacevole, e non si soffre troppo per la sua lunghezza.
Ma visto a se perde di senso, si dovrebbe fare una tirata con gli altri due. Non ci resta che aspettare l’uscita di Lo Hobbit, Racconto di un ritorno previsto per il 2014.

Alla prossima!

sabato 23 novembre 2013

Narrativa fantastica, in Italia e all’estero



Di recente, le mie letture mi hanno portato ad imbattermi in alcuni esordienti stranieri nel campo della letteratura fantastica conosciuti tramite il vasto mondo del web, e ho notato grossissime differenze con gli esordienti italiani nello stesso campo.
Partendo dal presupposto che gli italiani sono per la maggior parte stilisticamente mediocri, e non lo dico solo io, è un dato di fatto che la maggior parte di quelli che scrive narrativa di genere in Italia sia digiuno delle più basilari regole della narrativa.
Ora io non sono tra quei puritani che affermano che chi non rispetta le regole fa schifo a prescindere, perché ci sono scrittori che le regole le rielaborano o non le seguono alla lettera e hanno scritto romanzi meravigliosi.
Comunque un minimo di rispetto per le basi è apprezzato, ecco.
Gli scrittori stranieri scrivono meglio, forse complice il fatto che in America, per dirne una, ma presumo anche in altri stati, esistono scuole di scrittura creativa, riviste specializzate che trattano l’argomento e decine di manuali scritti da persone competenti nel campo. Manuali, tra l’altro, reperibilissimi anche in Italia per chi volesse provare a scrivere con uno stile un minimo decente (come provo e riprovo a fare io, ma sono pigra e non riesco a portare a termine neanche un racconto, mea culpa).
Il panorama fantasy italiano negli ultimi anni è stato affollatissimo di esordienti, soprattutto adolescenti, a causa del fenomeno Troisi che ha aperto la strada a tutti gli altri. Era meglio se la strada la chiudevano al traffico a tempo indeterminato, visti i risultati.
 
Mettici un drago, ed è subito fantasy!

Gli scrittori italiani si sono dati al fantasy epico per lo più, ispirato alle grandi saghe come Il Signore degli Anelli e fin qui nulla di male, solo che l’eroe predestinato che salva il mondo dal Malvagio Signore Oscuro ha rotto gli zebedei da un pezzo. Almeno a me.
Se ci metti che tutti han voluto provare a scrivere ambiziose saghe o trilogie la frittata è fatta. Ci vuole esperienza per costruire un mondo credibile con una situazione politica e militare che non faccia acqua da tutte le parti e una trama che si dipani senza annoiare per tre romanzi o più. Se non si ha la capacità per farlo si può sempre scrivere qualcosa di meno pretenzioso, magari qualche racconto breve che sono meno impegnativi da questi punti di vista.
Ma anche gli esordienti stranieri si sono dati a saghe e trilogie, solo che la maggior parte di loro ha saputo costruire un’ambientazione realistica e credibile. Ma la principale differenze è che molti non scrivono high fantasy o epic fantasy ma bensì quel fantasy che esiste grazie a George R.R. Martins, cioè quello brutto, sporco e cattivo. Che è quello che ultimamente preferisco, dopo quintali di romanzi basati su D&D et similia, mi sono votata alla sword and sorcery e al low fantasy.
E quindi il succo del discorso qual è? Che stavolta non sono gli italiani che lo fanno meglio, ma gli autori stranieri. Mi dispiace dirlo, ma a parte qualche caso sporadico (Zuddas, per dirne uno bravo), gli italiani il fantasy non lo sanno scrivere.

Ma chi sono questi fantomatici esordienti stranieri da tenere d’occhio? Ecco qualche nome, alcuni li ho toccati con mano, altri no, ma purtroppo non tutti hanno ricevuto un’adeguata traduzione italiana e io non ho più tanta voglia di sorbirmi un libro intero in inglese. Lo saprei leggere, ma dato che non conosco la lingua in maniera abbastanza fluida mi devo concentrare all’inverosimile ed è stancante.

Joe Abercrombie è uno scrittore inglese che ha esordito nel 2006 con il primo capitolo della trilogia “First Law”, ad oggi ha scritto sei libri, dei quali tre sono reperibili in italiano editi da Gargoyle, ovvero i primi due capitoli della trilogia e uno dei romanzi autoconclusivi, che però essendo legato ai fatti avvenuti nei volumi precedenti sarebbe da leggere successivamente.

Trilogia La Prima Legge:
Il richiamo delle spade, Gargoyle, 2013
Prima che siano impiccati, Gargoyle, 2013
L’ultima ragione dei re, di prossima pubblicazione presso Gargoyle nel 2014

Altri romanzi:
Il sapore della vendetta, di prossima pubblicazione presso Gargoyle
The Heroes, 2011, pubblicato da Gargoyle nel 2012
A Red Country, 2012

Joe scrive dannatamente bene, ha costruito un’ambientazione credibile e i personaggi sono caratterizzati ottimamente. Io ho letto i due volumi della Prima Legge e mi riservo di leggere “The Heroes” non appena conclusa la trilogia. Ci sarebbe “Il sapore della vendetta” da leggere prima, ma pare che non sia granchè. È normale che un autore esordiente non imbrocchi tutto al primo colpo, visto  che lo fanno anche gli scrittori di lunga data. Quindi a parte il mezzo passo falso di “Il sapore della vendetta”, direi che è promosso a pieni voti. Sicuramente da tenere d’occhio e sperare che Gargoyle pubblichi tutti i suoi romanzi.
 

Mark Lawrence è anche lui uno scrittore inglese, che ha esordito nel 2011 con una, manco a dirlo, trilogia chiamata Broken Empire e alcuni racconti brevi apparsi su varie riviste. Per il 2014 pare abbia in programma una nuova trilogia chiamata The Red Queen’s War, ma c’è da vedere quanto di questo autore arriverà in Italia.

Trilogia Broken Empire:

Prince of Thorns, tradotto malamente Il Principe dei Fulmini, Newton Compton 2012
King of Thorns, tradotto come Il Re dei Fulmini, Newton Compton 2013
Emperor of Thorns, si presume verrà pubblicato l’hanno prossimo.

Personalmente non ho apprezzato moltissimo, pur riconoscendo che l’autore scrive bene, la storia di questo giovane principe che diventa capo di una compagnia di mercenari. Non tanto per lo stile di Lawrence o la crudeltà del personaggio, ma per il fatto che una banda di tizi grossi e cattivi che prende ordini da un ragazzino, seppure di nobili origini mi pare poco plausibile. È possibile che se verrà pubblicato l’ultimo capitolo della saga gli dia una seconda possibilità perché credo la meriti. Tenetelo d’occhio.
 
Scott Lynch con la sua saga dei Bastardi Galantuomini, un progetto di ben sette libri, esordisce nel 2006. Ad oggi la saga è arrivata al terzo libro, ma in Italia si sono fermati al secondo, interrompendo la pubblicazione ed affermando che date le scarse vendite non c’era interesse a tradurre i romanzi successivi. Un enorme peccato, perché sembrava molto promettente la storia di questo ladro un po’ sfortunato. Se non avete problemi con l’inglese però potete sempre leggervela in lingua originale.

Gli inganni di Locke Lamora (The lies of Locke Lamora, giugno 2006)
I pirati dell'oceano rosso (Red Seas Under Red Skies, luglio 2007)
The Republic of Thieves (ottobre 2013)
The Thorn of Emberlain (annunciato)
The Ministry of Necessity (annunciato)
The Mage and the Master Spy (annunciato)
Inherit the Night (annunciato)

Avrei voluto leggerla ma mi blocca la mancata traduzione. Se l’inglese non è troppo difficile e i libri non sono eccessivamente prolissi potrei farci un pensierino nonostante il mio voto di non leggere più romanzi in lingua inglese, causa mie difficoltà personali. Chissà.

Patrick Rothfuss è uno scrittore americano che ha esordito nel 2007 con il primo capitolo della sua trilogia “Le Cronache dell’Assassino del Re”. All’attivo ha solamente i primi due volumi della suddetta trilogia, mentre il terzo capitolo è previsto per il 2014. Sperando che Fanucci non si dimentichi di pubblicarlo anche in Italia.

Il nome del vento (Fanucci Editore, 2008)
La paura del saggio (Fanucci Editore, 2011)
The Door of Stone (possibile titolo, prossima pubblicazione)

Sto leggendo ora il primo libro della trilogia, Rothfuss non è sporco e cattivo come gli altri, ma pur essendo “lirico” non scade in quello stile troppo aulico che infesta il fantasy moderno da Tolkien in poi e perciò merita una lettura. Nonostante si notino le ingenuità di uno scrittore esordiente, con situazioni un po’ scontate ed un protagonista un po’ troppo bravo a fare tutto, il primo romanzo si lascia leggere pur non essendo un capolavoro. Smussando un po’ gli angoli ha le potenzialità per scrivere cose interessanti in futuro ed è senz’altro da tenere d’occhio.
 
Patrick Rothfuss in realtà è uno gnomo

Un’ultima nota, il buon Martins aveva promesso che “The Winds of Winter”, ovvero il sesto capitolo delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, sarebbe uscito nel 2014, ma alla convention Comic Con di New York ha affermato che non sarà pronto prima del 2015, più realisticamente nel 2017. Quindi speriamo di riuscire a leggere la fine della saga prima della pensione, perché con questo ritmo il capitolo finale “A Dream of Spring” uscirà nel 2023 come minimo. Speriamo che George si dia una mossa, non vorrei vedere il finale prima nella serie Tv e poi su carta! Chissà se le pressioni di HBO per avere materiale per la serie spingerà George ad accelerare un po’i tempi. Vedremo!

Alla prossima! Vi lascio con una canzone degli svedesi Hammerfall dedicata ai Guardiani della notte, Take the black, ovvero "prendere il nero". Assai in tema questa volta.


venerdì 8 novembre 2013

Nicolas Eymerich, Inquisitore



Non molto tempo fa, spulciando la rete in cerca di consigli su qualche bel libro da leggere mi sono imbattuta in Valerio Evangelisti e la sua saga dell'inquisitore Eymerich. Essendo uno scrittore italiano mi aspettavo il peggio, perché sono piena di pregiudizi verso gli autori del mio paese, ma ho dovuto ricredermi.Dopo essermi procurata il primo libro dei dieci che compongono l'epopea di Eymerich, ne ho affrontato la lettura senza troppe aspettative e ho finito col recuperare in breve tempo tutti gli altri.
 

Nel corso della saga, in parallelo allo sfondo storico della metà del XIV secolo nel quale vive e opera Eymerich, Evangelisti tratteggia scorci di futuro poco rassicuranti, devastati da guerre ed epidemie, trasformando quello che potrebbe sembrare un romanzo storico in un romanzo di fantascienza. Le eresie combattute da Eymerich, sottoforma di fenomeni a dir poco paranormali, trovano spiegazione pseudo - scientifica nelle storie parallele che si intrecciano con le vicende dell’inquisitore.

Nicolas Eymerich da Gerona è un personaggio storico vissuto realmente, dottore in teologia nato nel 1320 e morto nel 1399, fu inquisitore generale d’Aragona e scrisse diversi trattati sull’argomento.
Evangelisti si riserva di raccontarci la sua vita, romanzandone le gesta e tratteggiando il personaggio in maniera che ho trovato geniale e coraggiosa, creando un personaggio difficile da amare.
Padre Nicolas è radicalmente convinto che Dio sia al di sopra di tutto, estremamente rispettoso dei dogmi imposti dalla chiesa, ma essendo disposto a tutto pur di soffocare le eresie, si ritrova a dover infrangere questi dogmi senza riserve pur di portare a termine i suoi compiti, cosa che lo rende un personaggio complicato, dal carattere molto difficile.
Non ama il contatto fisico e ama la solitudine, è sempre brusco e scontroso ma se serve è capace di usare la diplomazia. Ha una fobia incontrollata per gli insetti ed è spietato con i nemici della chiesa. Il suo modo di ragionare pone dei dubbi al lettore, che si ritrova a chiedersi se Nicolas agisca nel giusto oppure no, sacrifica vite di innocenti o elimina pericolosi eretici? In ogni caso, difficilmente si ritrova a fare del male al prossimo in prima persona, riconosce a fatica l’efficacia della tortura e preferisce evitare di usarla se non è strettamente necessario, lasciando ad altri il compito di eseguire materialmente le condanne.
Bisogna ricordare che si parla di inquisizione, e perciò cercare di capire la mentalità di quel periodo storico, il più buio della storia della chiesa.

Nonostante il personaggio possa risultare antipatico e indigesto, io lo adoro. Lo adoro perché sembra privo di umanità, mentre invece combatte con i suoi demoni interiori che gli fanno provare sentimenti contrastanti e dubbi sul suo stesso operato. Ed Evangelisti è bravo a caratterizzarlo, mostrando i suoi comportamenti ambigui al lettore. Inoltre alcuni dei comprimari delle sue vicende sono simpatici e spezzano il clima freddo che si crea intorno al personaggio, anche se alcuni possono apparire un po’ stereotipati, come padre Corona, bonaccione e incapace di fare del male o padre Bagueny, irriverente e ironico fino all’esasperazione.


 Eymerich sulla cover del videogioco per PC a lui dedicato

La saga ha qualità altalenante, personalmente ho letto i libri in ordine cronologico, diverso da quello di pubblicazione, e perciò ho notato alti e bassi nella scrittura. Migliori i primi, mediocri quelli pubblicati più di recente, ma nel complesso si tratta di letture piacevoli.
A volte però gli intermezzi ambientati in futuri più o meno prossimi sembrano messi lì perché sì, perché Evangelisti doveva per forza metterceli e hanno poco mordente, in altri casi sono pieni di infodump, ma nel migliore dei casi mettono curiosità e spingono il lettore a proseguire. Anche se penso che avrei letto Eymerich volentieri anche senza di essi, accettando per buone le credenze religiose dei personaggi, capisco l’intento dell’autore di legare gli avvenimenti accaduti nel XIV secolo con quelli accaduti in un futuro distopico e poco rassicurante.

In ordine cronologico, il primo è “Nicolas Eymerich, inquisitore”, che è anche il primo ad essere stato pubblicato nel 1994, poi Evangelisti è andato un po’ a casaccio.
Questo l’ordine di lettura, tra parentesi la data di pubblicazione:
1360: Cherudek (1997)
1362: Mater terribilis (2002)
1365: Le catene di Eymerich (1995)
1366: La luce di Orione (2007)

C’è chi dice che Evangelisti doveva smettere dopo Mater Terribilis, e che gli ultimi due pubblicati non sono granchè (“La luce di orione” e “Rex tremendae maiestatis”), ma spesso non mi sono trovata d’accordo con la blogsfera quindi vi dirò in breve cosa penso io dell’intera saga.

“Nicolas Eymerich, inquisitore” è un buon inizio, anche se le parti scientifiche sono un po’ noiosette, il successivo “Il mistero dell’inquisitore Eymerich” è quello che mi è piaciuto meno, discreto ma nulla di più. Interessanti però le parti ambientate nel futuro. “Il corpo e il sangue di Eymerich” è carino e inizia a fare luce sugli accadimenti immaginati da Evangelisti per il futuro della terra nelle sue parti fantascientifiche. Dopo questi tre non proprio entusiasmanti ero indecisa se proseguire o meno, mi erano piaciuti ma non mi avevano fatto gridare al miracolo. Poi ho letto “Cherudek”.
“Cherudek” mi ha fatta immergere completamente nel mondo di Eymerich con un libro scritto benissimo, che coinvolge in tutte le sue parti, sia quelle fuori dal tempo che quelle che riguardano l’inquisitore. Bellissimo.
Dopo di lui ho letteralmente divorato i tre successivi, spinta da una voglia di leggere e leggere ancora le avventure di Nicolas Eymerich. E non sono rimasta delusa.
“Picatrix, la scala per l’inferno” mi è piaciuto quasi quanto il suo predecessore, le parti fantascientifiche in questo episodio dipanano ulteriormente i dubbi sugli accadimenti della terra futura, mentre la storia parallela relativa alla tortura da parte dell’inquisizione di una misteriosa donna fa luce sulla personalità di Eymerich in maniera più profonda, rivelando nuove sfumature di questo bellissimo personaggio, che cresce e si rivela libro dopo libro.
Il successivo “Mater terribilis” è stato molto criticato dai fan di Evangelisti, ma a me è piaciuto molto. Le parti futuristiche però sembrano messe un po’ per forza, mentre le vicende legate a Jeanne D’arc si amalgamano perfettamente con quelle di Eymerich, di nuovo alle prese con aspetti contrastanti della sua personalità e con il dualismo della sua anima.
Nel romanzo “Le catene di Eymerich” ritroviamo scorci futuri e passati che gettano le basi per capire tutta la trama fantascientifica costruita da Evangelisti, mentre l’inquisitore, sempre più spietato, combatte con vecchi nemici che credeva sconfitti. Un buon romanzo, che mi è piaciuto quanto i precedenti anche se non tocca le vette raggiunte da “Cherudek” o “Picatrix”.
“La luce di Orione” è in effetti il punto più basso della saga. Non fraintendetemi, non è così male, solo sembra scritto in modo diverso. Sicuramente durante i cinque anni che lo separano dal precedente l’autore ha cambiato un po’ il suo stile. La vicenda dell’inquisitore è lenta e fino a metà romanzo succede poco o nulla. Si riprende verso il finale, che a mio avviso salva un libro altrimenti mediocre. Le parti fantascientifiche riportano in scena le vicende  di un vecchio personaggio piuttosto irritante, che s’intrecciano con alcuni scorci di quel futuro di guerre e disastri predetto da Evangelisti.
Discorso molto diverso per “Il castello di Eymerich”, che quasi raggiunge le vette toccate da “Cherudek”. Scorrevole e intrigante la parte sull’inquisitore, di nuovo alle prese con il suo lato più umano, però un po’ fiacche le parti di intermezzo, nonostante la loro importanza nell’economia del romanzo. Nel complesso una buona lettura che apre la strada all’ultimo capitolo della saga, “Rex tremendae maiestatis”.
Quest’ultimo, anche in ordine di pubblicazione, mette la parola fine alle avventure di Padre Nicolas, mostrandoci inoltre scorci della sua infanzia alternati a quelli di un lontanissimo futuro.
Il personaggio di Eymerich è invecchiato, ma ancora determinato a sgominare le eresie con la sola forza della sua “armatura”, ovvero l’abito che porta. In questo romanzo ritroviamo un Eymerich un po’ più umano, evoluzione naturale visti gli avvenimenti accaduti in precedenza.
Un punto dolente: Evangelisti ci dice che sono passati tredici anni dai fatti avvenuti nel libro “Il castello di Eymerich”, cioè quello precedente in ordine cronologico. Ma c’è un errore! Il romanzo in questione è ambientato nel 1369, dove Eymerich dice chiaramente di avere 49 anni. “Rex tremendae maiestatis” è ambientato tra il 1371 e il 1372, ed in effetti l’inquisitore afferma di avere 51 anni. Quindi in realtà sono passati solo due o tre anni! Una dimenticanza dell’autore? Decisamente, e non me ne sono accorta solo io. Il problema è che questa cronologia errata porta ad uno strafalcione temporale che fa perdere di senso una parte importante della storia!
Molto male Evangelisti! Gli bastava spulciare il libro precedente per verificare le date e non cadere in errore.
A parte questo erroraccio, il romanzo scorre come al solito e conclude degnamente la saga, anche se sinceramente mi sarei aspettata qualcosa di più, nel complesso non è niente male.
 
 Eymerich è anche fumetto

E come mi è accaduto a volte in passato, chiudendo l’ultimo libro di una lunga saga o anche solo di una trilogia, ho provato nostalgia e commozione, pensando che era tutto finito. Padre Nicolas mi manca, come mi mancano Druss la leggenda o Fafhrd e il Grey Mouser.
Quindi che dire? Evangelisti promosso. Se non lo avete ancora letto ve lo consiglio, però non posso dire nulla sugli altri romanzi da lui scritti, dato che mi sono limitata alla saga di Eymerich. Non escludo che avvicinerò anche altri romanzi dell’autore bolognese, ma per ora mi fermo qui, perché al di là dei miei pregiudizi ho apprezzato uno scrittore italiano e tanto di cappello.

Alla prossima! Vi lascio con un pezzo dei Powerwolf che come al solito c'entra poco o nulla, ma mi pareva in tema.

venerdì 13 settembre 2013

The art of Federico Pancaldi - aggiornato

Aggiornato di recente il blog The art of Federico Pancaldi con nuove immagini a tema fantasy, le nuove illustrazioni sono state realizzate per alcuni manuali di un gioco di ruolo in stile retro-clone finaziato con kickstarter, ovvero Adventure of Dark and Deep.

Dateci un'occhiata!

http://federicopancaldi.blogspot.it/

lunedì 9 settembre 2013

L’addio di Hayao Miyazaki



Di recente, al festival del cinema di Venezia, il co-fondatore dello Studio Ghibli Hayao Miyazaki ha annunciato il suo addio: “Si alza il vento” sarà il suo ultimo film come regista.

Da fan di Miyazaki posso dire che sono molto dispiaciuta, i suoi film mi hanno fatta sognare per anni e ora so che non ci saranno più le trepidanti attese che accompagnavano le uscite dei suoi film.
Per chi non lo sapesse, lo studio Ghibli è uno dei più famosi studi di animazione giapponese, se non il più famoso, come avevo già accennato di recente nell’articolo su Ni No Kuni.
 

Quello che viene da chiedermi e se suo figlio, Goro Miyazaki, anche lui regista, sarà all’altezza delle capacità narrative di suo padre e riuscirà a raccoglierne l’eredità. La prima opera di Goro, “I Racconti di Terramare” (tratto dai romanzi di Ursula Le Guin), non è stata un successo al di fuori dal Giappone, ma pare che invece il suo secondo lavoro sia migliore sotto molti punti di vista. “Le colline dei papaveri“ è uscito infatti a distanza di quattro anni dal precedente, tempo nel quale Goro si sarà fatto le ossa collaborando con suo padre suppongo. Ricordo che all’epoca di Terramare, Hayao disse che non era soddisfatto del lavoro del figlio e che forse non era ancora pronto per dirigere un film da solo.
Un giudizio duro, ma detto da un notevole esperto nel campo. Hayao Miyazaki oltre che regista, vanta anche le qualifiche di fumettista, sceneggiatore, animatore e produttore presso lo Studio Ghibli, e i suoi film sono sempre stati accolti con consensi molto positivi, sia dal pubblico che dalla critica.

I film di Miyazaki hanno qualcosa di speciale, raccontano storie profonde e commoventi senza cadere nelle banali retoriche su amicizia e amore che spesso infestano la maggior parte degli anime.
Di seguito una veloce lista delle sue opere più famose, in attesa di poter vedere “Si alza il vento” con il fazzoletto a portata di mano. Perché di sicuro verranno giù lacrime, e non solo per il film, ma anche perché sarà l’ultimo di una serie di piccoli capolavori di animazione.

Regia, storyboard e sceneggiatura:
·         Conan, il ragazzo del futuro (1978)
·         Lupin III - Il castello di Cagliostro (1979)
·         Nausicaä della Valle del Vento (1984)
·         Laputa - Castello nel cielo (1986)
·         Il mio vicino Totoro (1988)
·         Kiki - Consegne a domicilio (1989)
·         Porco Rosso (1992)
·         Princess Mononoke (1997)
·         La città incantata (2001)
·         Il castello errante di Howl (2004)
·         Ponyo sulla scogliera (2008)
·         Si alza il vento (2013)

Sceneggiatura e/o storyboard:
·         I sospiri del mio cuore  (1995): diretto da Yoshifumi Kondō
·         La collina dei papaveri (2011): diretto dal figlio Goro

Per ora è tutto, alla prossima!